Lo chef di oggi? Un manager che sa cucinare 

Confesercenti e Associazione Cuochi Alto Adige hanno firmato un protocollo d’intesa. Uno spunto interessante per guardare al futuro della professione con il presidente provinciale Roberto Monte: “Oggi il piatto lo devi saper cucinare ma anche valutare economicamente occupandosi direttamente di sicurezza alimentare e sul lavor”

I cuochi svolgono un mestiere fondamentale per il tessuto economico e culturale altoatesino. Rotella essenziale per il turismo ma anche per la cultura locale. Depositari di una tradizione e portatori di innovazione. Nell’ambito del nuovo protocollo d’intesa firmato da Confesercenti e l’Associazione Cuochi Alto Adige approfondiamo il mestiere dello chef sul nostro territorio con un occhio al futuro. Ad aiutarci il presidente dell’Associazione Roberto Monte, cuoco insegnante alla scuola alberghiera Ritz di Merano. 

Competenze amministrative

“Il nostro mestiere sta cambiando molto ma, al contempo, rimane strutturato su una solida base di tradizione. Rispetto ad una volta oggi gli chef devono essere dei grandi organizzatori con competenze solide che vadano oltre al singolo atto di cucinare.”. Quali sono le nuove competenze richieste? “Prima di tutto le norme igienico-sanitarie devono essere conosciute in modo perfetto. Ci vogliono, poi, capacità amministrative non indifferenti nella gestione dei budget e abilità umane importanti nel far rendere al meglio una squadra di lavoro”. Ogni piatto, quindi, risponde a logiche di budget? “Ogni piatto va analizzato in quello che definiamo costo-piatto. Una sostanziale esplosione di tutti i costi in termini di derrate alimentari, consumi e margini proporzionati al singolo piatto. Quel calcolo diventerà poi la singola unità che determina il guadagno dell’attività gastronomica. Uno chef deve saperla maneggiare”.

La passione rimane alla base

Per fortuna, però, il cuoco si occupa ancora di cucinare. “Meno male – sorride – perché rimane comunque la passione più profonda. La differenza, non vorrei essere banale, in questo campo la fanno ancora le capacità tecniche e l’abilità nello scegliere le materie prime”. C’è, però, anche una spinta non indifferente all’innovazione e alla sperimentazione. A volte persino esasperata. Non c’è il rischio di perdere le nostre tradizioni? “Le tradizioni non moriranno mai. Sono alla base di tutto. Specialmente in Italia e ancora di più in Alto Adige. Viviamo in un territorio che ritiene, giustamente, la propria cucina un forte elemento identitario. Questo porta a una naturale difesa delle radici. Buona parte dei ristoranti altoatesini, peraltro, sono a conduzione famigliare con esperienze che si tramandano da generazioni. Detto questo è chiaro che c’è anche un sapere molto più condiviso e accessibile che spinge tutti a cercare soluzioni nuove. Le nuove tecnologie di cottura, inoltre, aprono strade mai percorse prima”. Sarà un futuro caratterizzato dall’intelligenza artificiale? “Potrà aiutare nel campo del marketing come promozione del piatto o di se stessi. Immagino anche nella presentazione dei menù. Sulla produzione sono molto meno convinto perché l’innovazione passa attraverso la combinazione dei gusti e la capacità di valutare, in quest’ottica, la proporzione dei singoli ingredienti. Sono caratteristiche troppo umane per essere replicate da un algoritmo. L’importante, però, è che le innovazioni tecnologiche non vengono presentare e inserite nei piani di lavoro per risparmiare personale ma per liberarlo dalle mansioni più meccaniche. Solo così potremmo avere sempre più chef attenti alla sperimentazione e al futuro. Un magnifico potenziale di sviluppo per il settore e per tutto il territorio”. 

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